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lunedì 28 dicembre 2009

Portare i piccoli

Quando si guardano le foto e i documentari che trattano di popolazioni indigene, si vedono spesso le madri o i bambini grandi, portare con fasce di stoffa o altro i bimbi più piccoli.


Prima di essere madre pensavo che questo comportamento fosse dettato unicamente dal fatto che, in certe zone, nessuno può permettersi di non lavorare e forse il posto più sicuro è addosso alla madre, visti i serpenti velenosi o quant'altro che si può incontrare stando a terra.

Nel momento in cui è nata mia figlia, ho cominciato a scontrarmi con i classici dubbi che attanagliano le mamme che per la prima volta fanno i conti con un esserino tutto nuovo: "Lo vizi" , "Lo tieni troppo in braccio" etc.
Dentro di me sapevo la risposta, ma le pressioni esterne che agivano anche dentro di me erano insistenti, avevo poca fiducia nel mio essere mamma, e la società non mi dava certo grande aiuto.

Una conferma alle mie sensazioni l'ho avuta in rete o leggendo libri che raccontassero l'esperienza di altri popoli o altre culture.
E' saltato fuori che portare in braccio non è solo un fatto pratico, ma ha dei risvolti sociali ed educativi basilari.

Un bimbo che passa il tempo attaccato al corpo di una persona più grande, non solo si sente protetto, ma respira e vive le sue sensazioni, può osservare da un punto di vista sicuro la vita che lo vedrà protagonista quando anche lui crescerà, ma nel frattempo può studiare con calma, i visi, le facce, le sensazioni, i gesti, senza essere costretto a interagire, senza sentirsi al centro della situazione.

Al contrario di quello che si pensa di solito infatti, essere al contro dell'attenzione, è una posizione molto stancante per i bimbi, pur avendo una certa attrattiva, genera facilmente frustrazione che poi può sfociare in rabbia o rifiuto.
Fondamentalmente è una responsabilità che sentono dentro di non volersi prendere se non a piccole dosi.

Portare i propri bimbi addosso perciò permette di non tenerli al centro dell'attenzione ma li accompagna dentro alla vita della mamma, donando loro una sicurezza e un benessere profondi.
L'esperienza non si riduce solo ad un fattore fisico, ma continua nell'atteggiamento mentale, dei genitori, anche quando i bimbi saranno pronti a camminare con le proprie gambe e a fare le scoperte che serviranno per la crescita, sarà ancora una volta un tenerli "mentalmente" in braccio, non nel senso di impedirgli di scoprire e provare, ma solo di fare da esempio per insegnare cosa è pericoloso e quali sono i pericoli che comporta.

Ancora una volta sono le sensazioni della madre (o dei genitori) a essere fondamentali; la rabbia o l'irrigidimento non possono portare il giusto messaggio, ma piuttosto la paura o il timore, espressi dal genitore, possono aiutare il bimbo a capire come porsi di fronte all'esperienza che sentono il bisogno di studiare.
Molti poi tra gli istinti caratteristici dei primi mesi, sembrano adattarsi perfettamente all'essere portati, pensiamo alla forte presa che i neonati fanno coi pugnetti appena gli si porge un dito, oppure alla forma delle gambe e dei piedi "a forcella" che si conformano perfettamente col fianco della madre. Sono stati fatti anche vari studi che evidenziano che nelle popolazioni che tradizionalmente portano i bambini non è presente il rischio di displasia all'anca.

E' possibile che questo atteggiamento di portare i propri bimbi ci risulti culturalmente lontano, eppure anche da noi le donne portavano i bimbi addosso in un foulard o con uno scialle quando andavano a lavorare nei campi.
Di fatto in questa società continuano ad essere molto vivi ammonimenti tipo: "Se lo tieni troppo in braccio lo vizi", "Diventerà un mammone" e chi più ne ha più ne metta...

Cosa nascondono queste frasi? Quale paura c'è dietro?
Forse il fatto che senza il bimbo addosso una donna può essere sfruttata meglio nel suo lavoro? Può essere disponibile?
Se si tratta della paura che un bimbo non spiccherà mai il volo se rimane attaccato alla madre, molti studi e la mia esperienza pratica mi dicono esattamente l'opposto.

Di fatto si tratta sempre di assecondare il bimbo: accettare quando ha bisogno di rassicurazione e non impedire i suoi slanci di indipendenza, ma eventualmente foderarli leggermente per la nostra sicurezza.
Un neonato non verrà viziato se viene tenuto in braccio, lui nasce già "viziato" per usare lo stesso termine, di fatto nasce già con l'aspettativa di essere tenuto vicino a qualcuno, di essere portato, al sicuro dai pericoli, così come l'istinto lo spinge a succhiare al seno, senza che nessuno glielo insegni.

Anche il genitore, se non è troppo riempito di pregiudizi, di rigidità che gli impediscono di ascoltare il suo profondo, sentirà dentro il bisogno di poter tenere vicino quel cucciolo, ancora così bisognoso di calore; se così non fosse saremmo già probabilmente estinti dai tempi della preistoria.

Il primo mezzo che abbiamo per portare un bimbo, è tra le nostre braccia, è quello più istintivo e immediato.
Probabilmente però nel lungo periodo una parte di noi stessi vorrebbe avere le braccia libere per poter continuare a fare le cose che vede necessarie, perciò non potendo contare sulla folta pelliccia a cui si aggrappano da soli i cuccioli di molte specie animali, si è dovuto trovare un metodo alternativo per tenere i cuccioli d'uomo vicini.

Ogni cultura ha sviluppato uno strumento a seconda delle condizioni climatiche e alle condizioni ambientali: Gli “Inuit”, quelli che noi chiamiamo solitamente “Eschimesi”, popolo del Nord e del grande freddo, tengono i bambini direttamente nell'”Amauti”, una tipica casacca di pelle di foca o di caribù, provvista di uno spazio apposito, a forma di sacca sulla schiena.

Gli Indiani d'America tenevano i bambini sulla schiena dentro una morbida pelle di cerbiatto arricchita di perline, che le donne stesse confezionavano durante la gravidanza.
In Perù usano dei teli quadrati (Mantas) spesso dai colori sgargianti che appositamente piegati vengono legati all'altezza dello sterno consentendo di tenere il bambino sulla schiena, a sacco con le gambine dentro, a differenza della Tanzania dove i teli si chiamano Kanga e le gambine rimangono spesso penzolanti.

Con lo stesso sistema (sling) in Mozambico si chiamano Capulana, e Getambaa in Kenya. Di fatto sono semplici teli che le donne e gli uomini usano per tutto, anche per esprimere stati d'animo.
Nella tradizione cinese veniva usato il Mei-Tai , un quadrato di stoffa con attaccate ai quattro angoli delle fettucce che venivano annodate a seconda di dove il bimbo veniva posizionato.
Senza andare poi troppo lontano nel mondo, nella nostra tradizione contadina venivano usate le gerle (zaini-ceste), gli scialli, o i grandi fazzoletti.

Si sta riscoprendo comunque la praticità e l'utilità educativa di usare un supporto per portare addosso i piccoli, se si fa un giro nella rete, ci sono numerosissime tipologie di porte-enfant, ne elenco i principali:

FASCIA LUNGA: Striscia di stoffa dalla lunghezza variabile a seconda della corporatura, che consente di posizionare il bambino in molti modi.
FASCIA QUADRATA: E' spesso un fazzoletto grande di stoffa adibito a vari usi che consente di portare il bimbo in molte posizioni.
MEI-TAI E SIMILARI (Mhug,Patapum etc): Evoluzioni in chiave moderna del mei-tai.
FASCIA CON ANELLI: Detta anche fascia ad amaca, facilmente regolabile, ma con poche possibilità di variare la posizione.
La fascia Tonga è l'equivalente in rete.
SUPPORTO LATERALE (Hippy chick etc): Cintura lombare regolabile con supporto per bambino, non consente di avere entrambe le mani libere poichè il bimbo viene tenuto col braccio, ma è comunque un sostegno per la schiena, e molto pratico per far salire e scendere il bimbo.
MARSUPI: Ce ne sono moltissimi in commercio, ma pochi riescono a tenere ben aderente il bimbo in modo da farlo pesare il meno possibile e pochi consentono (a meno di modificazioni self-made) di poter mettere i bambini sulla schiena in modo da aumentare la praticità.
ZAINI : Hanno la praticità di avere spesso una cappottina o un parasole, sono imbottiti, ma spesso il loro peso va ad assommarsi al peso del bambino, e non è sempre facile metterlo dentro e toglierlo se vuole camminare.

L'avvento di carrozzine e passeggini, ha soppiantato nel tempo l'uso di portare i bambini nel mondo occidentale facendo dimenticare anche i risvolti emotivi.
Certamente sono molto pratici, io il passeggino l'ho usato parecchio, soprattutto se dovevo andare di fretta, riuscivo a caricarci sopra tre bambini e le borse della spesa, ma se dovevo usare la macchina trovavo molto più pratico portarmi via il mio telo peruviano e usarlo per tutto quello che mi serviva (coperta, fascia, riparapioggia, asciugamano etc...).

Non amo le estremizzazioni, trovo che siano alienanti dal proprio sentire, portare in braccio è una opportunità e un piacere per entrambi i soggetti interessati, se ci si accorge che non è così bisognerebbe poter rivedere la propria capacità di accettazione e le motivazioni, oppure la nostra disponibilità e l'opportunità di trovare una alternativa momentanea e più adatta alle nostre esigenze.

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